Premessa
Il tumore al seno è la patologia oncologica più frequente nel genere femminile e colpisce circa una donna su nove. In questo articolo, scopriremo insieme quali siano le analisi effettuate dai patologi per caratterizzare con precisione il cancro e indirizzare il percorso terapeutico.
Conoscere il tumore
La prima valutazione dei patologi è morfologica: i carcinomi duttali (che interessano il dotto galattofero) rappresentano all’incirca l’ottantacinque per cento dei casi, mentre i carcinomi lobulari (che interessano la struttura ghiandolare che produce il latte) rappresentano il restante quindici per cento.
Con lo stesso campione istologico (prelevato per biopsia o resezione chirurgica) che è servito per distinguere il tumore dal punto di vista morfologico, si analizza anche la presenza del recettore degli estrogeni (ER) e del progesterone (PR) e la sovraespressione del recettore tirosin chinasi HER2/ERBB2 (ne abbiamo già parlato in questo articolo).
In base alla positività per ER/PR (circa il 70% dei casi), alla positività HER2 (15-20% dei casi), o alla negatività a tutti e tre i recettori (i casi restanti, definiti infatti come tumori triplo negativi), l’oncologo sceglierà strategie terapeutiche anche molto diverse. La somministrazione di chemioterapia, poi, dipende da altri fattori quali la dimensione del tumore e la sua diffusione ai linfonodi regionali (solitamente, in questo caso, i linfonodi ascellari). In tal senso, i recenti risultati dello studio RxPONDER (ne abbiamo parlato qui) hanno definito una nuova prassi per l’eventuale utilizzo di chemioterapia in dipendenza da specifiche circostanze (pazienti in post-menopausa e interessamento di linfonodi ascellari).
Tumori positivi per ER/PR
I tumori con presenza di ER e PR dipendono dagli estrogeni per la loro crescita e vengono dunque trattati con farmaci capaci di bloccare l’attività degli estrogeni come il tamoxifen, gli inibitori dell’aromatasi o il fulvestrant; come già accennato, la terapia tiene anche in considerazione il fatto che la paziente sia in pre-menopausa o post-menopausa. Al giorno d’oggi, queste terapie anti-ormonali vengono somministrate anche in combinazione con altre terapie mirate come i farmaci a bersaglio molecolare inibitori del CDK4/ 6 – proteine in grado di aumentare la proliferazione delle cellule tumorali – o, in casi avanzati e se il tumore presenta una mutazione nel gene PIK3CA, come gli inibitori del PI3K, un enzima coinvolto nella crescita e proliferazione cellulare.
Tumori positivi per HER2
Se invece il tumore è positivo per l’espressione di HER2, le opzioni terapeutiche sono molto diverse. Normalmente, infatti, i pazienti con tumori HER2-positivi vengono trattati con anticorpi specifici anti-HER2 (come trastuzumab, pertuzumab, TDM1 e TDXd) in combinazione con la chemioterapia. La maggior parte dei tumori ER/PR-positivi e HER2-positivi, se diagnosticati prima che si diffondano ad altri tessuti o organi, sono curabili. Tuttavia, in alcuni casi (e virtualmente sempre quando il tumore viene diagnosticato già in fase metastatica, cioè quando ha raggiunto altre parti del corpo attraverso le vie linfatiche e i vasi sanguigni) si riscontra un’efficacia dei farmaci più limitata e spesso si osserva l’acquisizione nel tempo di farmaco-resistenza.
Tumori triplo-negativi
Infine, nel caso di tumori triplo negativi (negativi sia per ER/PR sia per HER2), lo standard terapeutico più frequente è la chemioterapia neoadiuvante (mirata a ridurre la dimensione del tumore in fase pre-intervento), con prognosi che varia in base al risultato ottenuto, cioè a seconda che il tumore sia scomparso (risposta completa, riscontrata all’incirca nel 50% dei casi) o diminuito di volume (risposta parziale). In aggiunta alla chemioterapia, negli ultimi tempi, sono poi state approvate anche altre opzioni terapeutiche come l’utilizzo di farmaci anticorpali (ad esempio un anticorpo anti TROP-2), inibitori di PARP e l’immunoterapia.
Altre opzioni terapeutiche
Se le opzioni terapeutiche disponibili al pubblico risultano inefficaci, rimane la possibilità di valutare l’eventuale iscrizione della paziente a studi clinici che testano terapie sperimentali (ne abbiamo già parlato in questo articolo).
Su questo punto è bene fare chiarezza: è infatti ancora diffuso il preconcetto che gli studi clinici rappresentino la cosiddetta “ultima spiaggia” – cioè tentativi quasi casuali e fondamentalmente disperati – oppure, peggio ancora, che siano il cinico strumento con cui le aziende farmaceutiche studiano in modo erratico efficacia e tossicità di “prodotti” dagli effetti ignoti e potenzialmente disastrosi, una sorta di terra di nessuno dove siano sospese regole e norme legali, scientifiche, etiche. La realtà è però ben diversa: gli studi clinici sono innanzitutto l’ultimo tassello di un percorso tanto lungo quanto ferreamente normato e controllato nello sviluppo di nuovi farmaci, e possono rappresentare per i pazienti un’opzione terapeutica efficace anche e proprio in funzione dell’avanguardia scientifica che esprimono.
Ovviamente, l’ammissione a uno studio clinico sperimentale è vincolata, oltre che dalla disponibilità, da numerosi fattori (l’età del paziente e le sue condizioni di salute, la tipologia e lo stadio della patologia per citare i più immediati) e, nella maggioranza dei casi, impone l’analisi del DNA tumorale al fine di indagare la caratterizzazione genetica del tumore e verificare se le eventuali alterazioni che esso esprime siano in linea con il bersaglio del nuovo farmaco posto allo studio.
L’analisi del DNA tumorale – e, con essa, l’eventuale identificazione di alterazioni genetiche significative – può anche indirizzare verso opzioni terapeutiche nient’affatto immediate ma potenzialmente efficaci. Ad esempio, potrebbero essere valutati farmaci (o combinazioni di farmaci) solitamente usati contro alterazioni genetiche specifiche di altri tumori qualora queste alterazioni fossero le medesime riscontrate nel caso del cancro al seno della paziente. Anche in questo caso, la scelta non è né casuale né estemporanea: se ci sono prove scientifiche che certi farmaci, usati per trattare altri tipi di tumore, possano essere efficaci per tumori al seno con le medesime alterazioni genetiche, gli oncologi possono chiedere ai comitati etici e alle aziende farmaceutiche di approvare questi trattamenti.
Conclusioni
Alla base di ogni approccio terapeutico contro il cancro (al seno ma non solo al seno) vi è la conoscenza precisa della natura intrinseca e più profonda del cancro. Un tassello fondamentale per completare questa conoscenza è l’analisi del DNA tumorale che consente di conoscere le eventuali alterazioni genetiche espresse dal tumore e, potenzialmente, di individuare strategie terapeutiche mirate a integrazione e, talvolta, sostituzione, di scelte terapeutiche più immediate.
Nel panorama delineato sin qui, Medendi è punto di accesso preferenziale a un iter diagnostico e terapeutico personalizzato sul singolo paziente e mirato alle caratteristiche specifiche della sua patologia, quelle caratteristiche che realizzano nella pratica l’asserzione che ogni tumore è diverso da ogni altro. Medendi, previa una valutazione iniziale di ogni caso sottoposto, dispone infatti delle risorse e delle competenze necessarie per guidare il paziente, in collaborazione con il suo oncologo di fiducia e con il personale sanitario dei centri coinvolti, dall’analisi del DNA tumorale all’interpretazione dei relativi risultati, all’individuazione di potenziali strategie terapeutiche, centri di eccellenza e clinical trial accessibili.